CINEMA E AUTONARRAZIONE IN NAKO
di Stefania Muresu
Il Laboratorio di Video Partecipativo e in generale l’uso di metodi visuali nella ricerca, rappresentano un occasione per creare per alcuni migranti un’opportunità di espressione e racconto della propria condizione e contribuire a creare immaginari nuovi e diversi attraverso il linguaggio cinematografico, dando voce e sguardo a persone che sono poco rappresentate nella sfera pubblica oppure che sono rappresentate tramite stereotipi creati da altri.
L’esperienza di cinema partecipato realizzata presso l’ex struttura agrituristica “Donnedda”, nel territorio di Sarule, in provincia di Nuoro, si proponeva di offrire uno sguardo inedito sulla condizione dei migranti, attraverso un processo creativo e di produzione filmica centrato sulla spontaneità dei contenuti e l’assenza di direzione da parte dei ricercatori/filmmaker, un’attività basata sulla libera partecipazione e su libere scelte narrative.
Circondato da un paesaggio mediterraneo e da terreni agricoli, il centro si trova ai piedi del Monte Gonare e a circa una decina di km dal centro abitato di Sarule. La struttura di accoglienza, un azienda agricola e di allevamento, si inserisce nel contesto agropastorale e rurale del centro Sardegna, in una condizione di isolamento geografico e sociale, che rende difficili le occasioni di interazione e scambio tra gli ospiti e le comunità circostanti.
I protagonisti del Laboratorio sono un gruppo di migranti che, trovandosi in un particolare contesto sociale, compongono una comunità “temporanea”. I contenuti raccolti durante tutto il percorso di incontri, scambi, riprese e visite consistono in storie personali, interviste discorsive ed espressioni creative di concetti culturali sia individuali che collettive.
Gli incontri circolari si sono svolti sotto una grande quercia, tra le panche di granito e il passaggio di pecore, asini e cavalli, e hanno riguardato l’introduzione alla camera, prove di riprese e reciproche interviste, attività su mappe geografiche del continente africano ed europeo, story-board e disegni per capire come e perché raccontare una storia con le immagini.
Il laboratorio, il cui obiettivo era creare una possibilità di espressione ed autorappresentazione attraverso un racconto audiovisivo, ha posto i partecipanti e ricercatori sullo stesso livello di dialogo, condividendo i contenuti delle immagini in diversi momenti di restituzione con la visione dei pre-montaggi e del girato delle camere utilizzate.
L’isolamento geografico, le esperienze individuali e al contempo la vita quotidiana vissuta e percepita intorno ad un ambiente rurale (the forest), hanno fortemente influenzato la produzione dei contenuti cinematografici proposti dai partecipanti al Laboratorio VP.
I risultati sono stati inaspettati e l’entusiasmo e lo spirito di iniziativa di tutti i componenti del gruppo sono stati fondamentali per realizzare le due storie narrate attraverso il video (Laboureur et ses enfants, Nabiaulu), in maniera spontanea, creativa, con profondi contenuti simbolici e di appartenenza al proprio vissuto e insieme trasposti emotivamente nel territorio di accoglienza, autonarrazioni centrate sul tema del lavoro agricolo e della terra.
Nako, dal mandinke “orto, campo”, nasce dentro il laboratorio VP nel momento in cui la finzione cinematografica impone una riflessione e un messaggio urgente sulla condizione soggettiva dei giovani partecipanti: il lavoro della terra è un tesoro, è sopravvivenza e insieme simbolo di vita, futuro e famiglia. Un germoglio piantato come scenografia di uno storyboard, su una terra fertile del centro Sardegna, ha trasformato il reale immaginato in Nako, un piccolo vero orto da curare, far crescere nella monotonia dell’attesa, innaffiare all’alba e al tramonto, aspettando che la terra dia i suoi frutti, un riconoscimento e i documenti, un opportunità di vita degna.
Nako è diventato il filo che conduce da una storia all’altra, i protagonisti si incontrano nella terra, uno spazio reale e simbolico, su cui i partecipanti al laboratorio hanno concentrato l’ osservazione.
L’esperienza di Nako mostra come il video partecipativo possa essere un efficace strumento di espressione e comunicazione diretta. La spontaneità delle interpretazioni dei partecipanti, che può essere rappresentata solo visualmente, restituisce un intensità cinematografica delle immagini e del linguaggio audiovisivo scaturito da un processo condiviso e originale di autonarrazione.
Ma se il testo scritto afferma, l’immagine è soggetta a interpretazione. Diventa allora necessario chiedersi quali sono i messaggi che il documentario Nako – La Terra trasmette e come possono essere interpretati. In che modo parlano di migrazione?