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AL DI LA’ DEI MURI 

di Gabriel Tzeggai

ALDILA DIE MURILa nostra è un’epoca di migrazioni di massa senza precedenti. Ogni giorno circa 34.000 persone sono costrette ad abbandonare la propria casa in seguito a conflitti o altre violenze.

In meno di 20 anni le migrazioni forzate sono raddoppiate. Durante questo ventennio abbiamo visto l’Europa discutere molto di “crisi migratoria”, diventare sempre più una vera “fortezza” e chiudersi in se stessa con politiche orientate a rendere impenetrabili le sue frontiere.

Per arginare i flussi di migranti, l’Europa  ha istituito diverse operazioni marittime (Hermes, Aeneas e Triton) con l’obiettivo primario di proteggere le frontiere nel Mediterraneo. L’unica operazione con l’obiettivo di salvare i migranti, Mare Nostrum, ha avuto vita breve, solo un anno. Altri tipi di barriere sono stati creati sotto forma di ripristino dei controlli ai confini nazionali o tramite centinaia di kilometri di vergognose distese di filo spinato.

Lo scorso anno, mentre lungo i confini militarizzati della “rotta balcanica” migliaia di profughi soffrivano la fame, il gelo e tremende umiliazioni e altre migliaia di persone morivano tra il Canale di Sicilia e il mare Egeo, il dibattito politico delle nazioni europee mostrava una vera ossessione relativa al numero di richieste di asilo.

Si è tanto parlato di “quote migranti” da “distribuire” tra i vari paesi, sono state proposte “road map” e “agenda sull’immigrazione”. I leader europei hanno parlato di “hotspots” e hanno litigato su 40mila richiedenti asilo da ricollocare. Quarantamila.  Tra un vertice e l’altro si è addirittura mercanteggiato per questo numero di profughi arrivando a un accordo in ribasso, da quarantamila a trentaduemila, per poi  risalire a 120mila.

Che i migranti siano stati trattati come merce di scambio lo confermano i finanziamenti e gli accordi con la Turchia e alcuni stati africani per coinvolgerli nel controllo dei flussi migratori. L’Europa è disposta a pagare e siglare accordi anche con alcuni stati noti per le violazioni di diritti umani pur di arginare il flusso di migranti. Associandosi a regimi dittatoriali, l’Europa si rende complice di violazioni di diritti umani. Perché è disposta a tanto? L’Europa si trova veramente davanti a una difficile crisi migratoria?

Diamo un’occhiata ad alcune cifre. Secondo l’ultimo rapporto dell’’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR, su un totale di 65,3 milioni di migranti forzati, attualmente l’Europa  ne ospita solo il 6%, mentre l’Africa sub-sahariana ne ospita il 29%, il Medio Oriente e il nord Africa il 39%, l’Asia e i paesi del Pacifico il 14% e il continente americano il 12%.

Ma se i numeri sono questi, perché l’Europa è così timorosa nell’accoglienza?

Forse la risposta si trova ponendo un’altra domanda. Quali sono le cause per un numero così alto di persone che fugge dalla propria terra?  Le cause sono ormai chiare. Ci sono migranti che scappano da guerre e altri tipi di violenze. L’Occidente ha fomentato alcune di queste guerre ed è stato complice in altre. Ci sono i cosiddetti migranti “economici” che in realtà sono vittime di sfruttamenti neo-coloniali e sono costretti a fuggire a causa di miseria estrema e fame. Ci sono poi i migranti ambientali, vittime di espropriazioni terriere e del più grande disastro causato dagli esseri umani: il caos ambientale.  Anche in questo caso il peso della responsabilità grava sui paesi più ricchi e industrializzati. L’Europa ne sta al centro, con responsabilità storiche e contemporanee.

Clima, ambiente, guerre e povertà sono spesso cause interconnesse delle migrazioni forzate.

Eppure ai migranti “economici” non viene riconosciuto il diritto d’asilo e solo in alcuni casi viene concessa la protezione umanitaria, mentre nessun riconoscimento giuridico viene concesso ai migranti ambientali.  

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla riduzione delle terre abitabili non possono essere sottovalutati.

Bisogna, in aggiunta, tenere conto del cosiddetto “land grabbing”, che non è solo l’accaparramento delle terre ma anche delle acque e altre risorse naturali.

Quando milioni di ettari di terre agricole vengono venduti o dati in concessione a multinazionali o a altri governi stranieri, la conseguenza è che milioni di persone sono costrette a fuggire. Le persone che vengono cacciate dalle proprie terre non traggono nessun beneficio dall’estrazione di combustibili o minerali e nemmeno dagli agro-combustibili. Nel caso che le loro terre vengano usate da agro-industrie, le coltivazioni non sono vendute nei loro mercati locali ma esportate. Come conseguenza di questo capitalismo estrattivo, queste persone saranno costrette a cercare rifugio altrove. Diventa quindi chiaro che la distinzione tra rifugiato politico e quello economico non ha senso.   

È importante notare che la maggioranza dei migranti forzati, l’86% nel 2015, rimane nel sud del mondo e la percentuale che arriva in Europa è minima.

La verità è che alla base delle cause delle migrazioni forzate contemporanee  c’è un sistema predatorio dal quale l’Europa ha sempre tratto vantaggio. Cercando di frenare i flussi migratori il sistema capitalista europeo sta cercando di perpetuare i propri privilegi. Perpetuare questi privilegi significa continuare a vivere in agiatezza depredando le risorse del pianeta mentre 795 milioni di persone continuano a soffrire in un ciclo intergenerazionale di fame.

Perpetuare questi privilegi significa alimentare un modello di sviluppo basato sul saccheggio ecologico. Significa andare verso una deriva climatica che renderà il nostro pianeta invivibile.

È chiaro che siamo arrivati a una svolta che richiede non solo risposte ma anche azioni chiare e radicali. Per evitare di finire nel baratro, l’unica alternativa è creare una conversione ambientale e un giusto equilibrio sociale ed economico a livello globale. In altre parole, cambiare stile di vita e rinunciare ai privilegi di cui ha goduto finora la parte ricca del mondo.

Non è cosa facile, ma nemmeno impossibile. Ma non sarà una classe politica che si è sviluppata in un contesto post-coloniale a farlo. Ci vuole un cambiamento di paradigma. L’incontro di culture che deriva dalla migrazione ci porterà a questo.

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